Quarto appuntamento con la nostra rubrica dedicata agli allenatori del Milano3 Basket. Abbiamo parlato con i coach delle giovanili chiedendo loro aneddoti e curiosità sulla loro passione cestistica. Questa volta è il turno di Fulvio Gambino, salito dalla Sicilia con un sogno a forma di palla a spicchi.
Come ti sei avvicinato al mondo della pallacanestro?
“In modo un po’ particolare, devo ringraziare una frattura. Sono un grande amante del calcio e ho iniziato a giocare, ma dopo tre allenamenti mi sono rotto il braccio e mia madre ha detto: basta. Avevo 7 anni e dopo aver tolto il gesso ho iniziato con la pallacanestro a Catania, dove sono cresciuto, e poi da lì è iniziata questa passione sfrenata e spasmodica per questo sport che ho vissuto sia come giocatore che come allenatore. Da giocatore, quando ero un adolescente, avevo parecchie aspettative e sono andato subito a giocare in altre città, poi tra piccoli infortuni ed una crescita troppo precoce non ho fatto il salto di qualità, così mi sono limitato a giocare in C1 e C2 e tuttora gioco in Serie D al Sant’Ambrogio. A un certo punto della mia vita, a 21 anni, ho deciso di investire il mio futuro cestisti nel ruolo di allenatore, per cercare di dare qualcosa ai ragazzi”.
Come allenatore quali sono i modelli a cui ti ispiri?
“Non ho dei modelli in particolare, sicuramente guardando oltreoceano l’impatto emotivo che ha Popovich è qualcosa di straordinario, mentre stimo Stevens dei Celtics che è un giovane coach che si fa rispettare in una lega come quella dell’Nba. Sicuramente uno degli allenatori da cui sto imparando tanto è coach Marco Colombo, al quale faccio da vice nell’U15 Eccellenza”.
Cosa significa per te il Milano3 Basket?
“Questa società è la prima cosa che mi ha fatto diventare un milanese. Quando sono arrivato a Milano avevo preso accordi con Sandro Pugliese per venire ad allenare qui tramite la conoscenza di un vecchio procuratore: sono partito fondamentalmente dal nulla. Milano3 per me rimarrà sempre il mio punto di partenza, la società che per prima mi ha dato un’opportunità, un qualcosa che non dimenticherò mai”.
Qual é stato il momento più emozionante e quello più brutto nella tua carriera da allenatore?
“Emozionante: la vittoria dello scudetto Uisp a Montecatini con la squadra dell’annata 2000-2001, nell’anno 2016. Ancor più emozionante, seppur coincida con una sconfitta, è quando con l’Under 14 nel 2017 perdemmo lo spareggio agli ottavi delle Finali Regionali: sapevo già che non li avrei più allenati ed è stata una partita incredibile, fu anche il momento più tragico, perché dovendo lasciare la guida del gruppo una lacrimuccia in quella giornata è scappata. E’ stato qualcosa di meraviglioso ma anche un po’ triste”.
Che differenza c’è tra giocatore ed allenatore?
“Da giocatore è totalmente un altro mondo: io purtroppo non sempre riesco, ancora, a scindere le due cose. Quando alleni non devi dare mai nulla per scontato, perché ciò che per me può essere naturale, magari non lo è per un ragazzino di 13-14 anni. E la difficoltà più grande è rendere fattibili per loro queste situazioni”.
Hai mai pensato di proseguire la tua carriera a livello professionistico?
“Assolutamente sì. E’ uno dei motivi per cui sono venuto qui a Milano3, perché sapevo che sarebbe potuta essere una buona scuola ed un trampolino di lancio, poi è difficile dire se riuscirà ad essere il lavoro della vita o meno, ma sicuramente mi piacerebbe”.
Quali sono gli insegnamenti, aldilà della tecnica, che vuoi trasmettere ai tuoi ragazzi?
“Sicuramente la passione e l’amicizia, perché il legame che si crea con i compagni di squadra è qualcosa che ti rimane. Poi la voglia, la grinta e l’idea che se salto un allenamento dev’essere un dramma perchè, oltre a fare un danno a me stesso faccio anche un danno ai miei compagni. Quindi in generale l’avere quel fuoco dentro che compensa nella vita anche tutte quelle che saranno le mancanze tecniche”
Lorenzo Lubrano